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Alessandro Peroni
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Francesco Algarotti
Alla corte di un principe
"caro alle muse":
Francesco Algarotti e
le riforme del melodramma


Saggio pubblicato in "Studi settecenteschi",
23, 2003, pp. 83-147
(uscito nel 2004)


All’inizio degli anni ’50 del secolo XVIII, l’interesse critico nei confronti del melodramma si ridestò all’improvviso dopo alcuni decenni di pacifico predominio della cosiddetta "opera metastasiana". Proprio in quel periodo, fra i primi autori a compiere un lucido bilancio di quasi due secoli di teatro musicale italiano, vi fu Francesco Algarotti, straordinaria figura di erudito e viaggiatore, il quale, nel 1755, diede alle stampe a Venezia un pamphlet dal titolo Saggio sopra l’opera in musica, entrando così, a pieno diritto, nel novero di quegli autori che invocavano una riforma del genere melodrammatico.
Il Saggio ebbe una granda fortuna editoriale: furono pubblicate due versioni profondamente differenti riproposte in cinque diverse edizioni (due nel 1755, una nel 1757, 1763 e 1754), e in più una serie di traduzioni in diverse lingue europee.
In questo studio ho analizzato con particolare attenzione la genesi delle varie versioni del Saggio, ponendole in relazione con i concreti tentativi di riforma dell'opera in musica (Parma, Vienna) che furono tentate all'epoca, riforme delle quali l'Algarotti può essere considerato fra gli ispiratori.
In particolare, Algarotti - che fu eminentemente uomo di corte - si opponeva all'opera come spettacolo popolare gestito dagli impresari nei pubblici teatri, e proponeva piuttosto un ritorno all'opera nobiliare tipica del tardo rinascimento, la quale era però irrimediabilmente decaduta alla fine del XVII secolo. Un progetto che si rivelò ben presto irrealistico a causa soprattutto del disinteresse dei prìncipi stessi.
A proposito della tanto auspicata riforma del melodramma, Algarotti scriveva:


"Ma chi si farà capo di tale impresa? Altre volte presiedeva al teatro un Edile o un Arconte: e ogni cosa vi procedeva con quell'ordine che si conviene, quando le antiche Repubbliche intendevano per via delle sceniche rappresentazioni di accendere il popolo alla virtù, o di tenerlo almeno divertito per la quiete dello stato. Al presente il Teatro è in mano d'Impresarj, che non altro cercano se non trar guadagno dalla curiosità, e dall'ozio di pochi Cittadini, non sanno il più delle volte ciò che fare si convenga, o atteso i mille rispetti che sono forzati di avere, nol possono mandare ad effetto. Sino a tanto che non mutino le cose inutile è ogni discorso, ogni desiderio è vano: e come mutar potriano, salvo se nella Corte di un qualche Principe caro alle Muse presiedesse al Teatro un abile Direttore, in cui al buon volere fosse giunta la possa? Allora solamente saranno i virtuosi sotto regola e governo, e noi potremmo sperare a' giorni nostri di vedere quello che a' tempi de' Cesari, e de' Pericli vedeano Roma, e Atene" (Saggio sopra l'opera in musica, Livorno, Coltellini, 1763 , pp. 11-12).




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